Sondaggi olimpici e Wall Street

 Esistono aziende che si dedicano a “implementare strategie di successo efficaci come virtualizzazione, consolidamento, cloud computing e disaster ricovery senza compromettere le performance”.  E fin qui nulla di strano: l’ interazione fra sviluppatori di software e pubblicitari in crisi di identità produce, specialmente se implementata davanti a un paio di gin-tonic, risultati di sicuro appeal nell’ ottimizzazione della filiera comico-surreale che sempre più si affaccia da protagonista nella comunicazione del nostro settore.
Secondo me, tuttavia, a volte esagerano. Mi è capitato di leggere una press-release della Riverbed ( l’ azienda “supporta le organizzazioni mondiali ad affrontare le sfide legate alle performance durante l’accesso ad applicazioni e dati online”)  nel quale leggo: Da una ricerca di Riverbed Technology (NASDAQ: RVBD), la IT performance company, emerge che un terzo di tutti gli Europei seguirà le Olimpiadi online, con l’ovvia conseguenza che i siti di streaming devono prepararsi per rispondere a queste richieste.
Ora, va benissimo differenziare le attività, uscire dal core-business eccetera – specialmente di questi tempi. Ma improvvisarsi ricercatori di mercato e sparare numeri del genere mi sembra quanto meno azzardato, specialmente per una struttura quotata a Wall Street.  Costoro, infatti,  stanno dicendoci che, in Europa, più di 246 milioni di persone a partire dalla settimana prossima saranno incollati a computer, smartphone e tablet per guardare le Olimpiadi di Londra.
Un tale Apurva Davé, vice president of products Stingray Business Unit di Riverbed, sostiene che  “Le abitudini di fruizione televisiva degli Europei stanno cambiando ed eventi sportivi mondiali come le Olimpiadi spesso creano picchi di traffico in quanto gli appassionati utilizzeranno PC, laptop o altri dispositivi mobili per seguire i propri atleti preferiti, ricevere aggiornamenti in tempo reale e acquistare merchandising legato all’evento. Le aziende devono quindi essere in grado di rispondere alla crescita di traffico durante i Giochi per evitare di perdere visitatori e, di conseguenza, ritorni pubblicitari e opportunità di vendite tramite e-commerce.”
Non mi è facile, a questo punto, decidere se questi signori siano dei comici o degli scriteriati.  Delle olimpiadi di Londra, diciamolo, in questi giorni non frega niente quasi a nessuno in un’ Europa assillata da disoccupazione, spread, debito pubblico e depressione. Inoltre questi giochi portano anche un po’ sfiga perché gli ultimi si sono svolti in Grecia e sappiamo tutti come è finita; la scherma e il tiro al piattello sono noiosissimi da guardare, alla decathlon  si va per comprare le felpe e il sollevamento-pesi non è che faccia molta audience. Ipotizzare che un europeo su tre seguirà in qualche modo le Olimpiadi è da inguaribili ottimisti; dichiarare al mondo che un europeo su tre lo farà collegandosi agli stream in rete mi sembra da fuori di testa.
In effetti quella dei dirigenti di Riverbed ha tutta l’aria di una dichiarazione farneticante dettata dalla disperazione: i ragazzi di San Francisco stanno cercando in tutti i modi di piazzare il loro prodotto, e va benissimo; ma per vendere ci raccontano balle grosse come la cupola di San Pietro – e questo ci offre un’ interessante visione sul mercato, sulla finanza e soprattutto sul Nasdaq e sui suoi derivati telematici.
Non ho motivo per dubitare, infatti, che alla Riverbed ci sia gente eccellente che produce “soluzioni” fantastiche, sia chiaro. Ma i loro dirigenti hanno pensato,  scritto, o quanto meno autorizzato un comunicato ufficiale assolutamente delirante che li qualifica come inaffidabili senza se e senza ma. Mi sono chiesto chi mai investirebbe in azioni di un’azienda governata da una manica di inetti di quel livello e in effetti ho trovato una conferma proprio a Wall Street: le azioni Riverbed negli ultini 12 mesi sono andate giù mica male

Il che non desta meraviglia.
Stupisce invece  la recommendation Buy degli analisti di Wall Street: secondo loro dovremmo affrettarci a comprare azioni Riverbed con la ragionevole speranza di realizzare lauti guadagni.
E’ grazie a questi fenomeni che chiunque capisce il perché della crisi economica, il perché del crollo di Lehman Brothers, gli hedge funds, i derivati, le bolle e tutto il resto: perché chiunque raccomandi di comprare azioni di un’azienda in mano a gente che pretende di essere creduta quando straparla di 246 milioni di europei intenti a seguire i giochi olimpici per mezzo di telefonini, computer da spiaggia e tablet – ebbene, chiunque raccomandi di fare una stupidaggine del genere è palesamente un incompetente oppure un cialtrone disonesto e in entrambi i casi dovrebbe essere messo in condizione di non nuocere a sé e agli altri, altro che pubblicare “recommendation” e vivere a carico della comunità planetaria.  Con esperti del genere – e ce ne sono a tutti i livelli – temo che la finanza e quindi  l’economia mondiale siano messe malissimo.
C’è da sperare che le vere menti pensanti della Riverbed, quelli che lavorano e creano ottimi software, prendano in mano la situazione e caccino via i loro improvvisati dirigenti – ma a pedate, altro che buonuscite milionarie.

  Il bonus di oggi da parte nostra è questa recommendation elaborata dai nostri esperti – mica dilettanti, bensì gente di tutto rispetto che gode di grande autorevolezza in tutti i bar da San Pietro Vara fino a Sesta Godano. Buy, comprare: buoni del Tesoro di San Marino per un portafoglio conservative e, per i più audaci, rastrellare future sulle caciotte del Moggia, quello che ha le pecore giù verso la Pogliasca.  Investimenti sicuri.

Più broadcast per tutti

Mi sono divertito a produrre qualche minuto di audio e nuvolarlo su uno dei tanti server di internet broadcast che mettono a disposizione, gratis o con fee minimalistici, servizi di storage e di editing. L’ho fatto con il mio smartphone Samsung di penultima generazione raccattando suoni attraverso il microfono incorporato perché mi piace l’arte povera ma l’interfaccia Spreaker, volendo, mi avrebbe messo a disposizione una console virtuale di tutto rispetto.  Il mio account free mi consente di diffondere suoni e parole al pianeta in diretta stream per 30 minuti al giorno, ma la formula “station” che prevede lo stream 24/7 costa €99.99 al mese comprese 1500 ore di storage – il che per un gruppo di intraprendenti giovani (o meno giovani) che avessero qualcosa da proporre non è per niente proibitivo.
Questa realtà si presta, come sempre, a interpretazioni multiple. E’ una bella cosa?
Senza dubbio, perché liberalizza – nel vero senso della parola – l’accesso al settore e di conseguenza al mercato. Una costellazione di giornalisti, musicisti, attori, intellettuali, pubblicitari e tecnici indipendenti che siano in grado di produrre contenuti di qualità ha ottime potenzialità di generare cultura e reddito, proprio perché le nuove tecnologie stanno abbattendo in maniera esplosiva spese di produzione e necessità di investimenti in attrezzature – questi ultimi addirittura vengono praticamente azzerati.
E del resto anche per i player di sempre, i broadcaster pubblici e privati, le abitudini cambiano in fretta.
Se i giornalisti di Al-Jazeera e di altre emittenti globali vanno in giro per il mondo muniti di i-Phone con app di editing e sono in grado di realizzare servizi live e/o pronti per l’ on-the-air nel giro di qualche minuto, occorre prendere atto del fatto che la convergenza – quella vera – sta riducendo drammaticamente la necessità di apparecchiature professionali. Non capirlo e continuare a scommettere il patrimonio di famiglia o i favori degli azionisti sulla produzione di attrezzature e accessori “professional” come core-business aziendale, per esempio, è un’operazione che deve essere valutata e calibrata attentamente: occorre adattarsi in fretta alla realtà del giornalismo televisivo prodotto con i-Phone e dei programmi radio prodotti con Android.  Anche perché il momento storico-economico, vero, offre margini ristrettissimi a chi opera senza un’attenta percezione della realtà.
Sony o Panasonic? Android o i-Phone? Sono scelte che già da ieri possono avere la stessa valenza per qualsiasi broadcaster consapevole.
A questo proposito, su Supermoney ho letto che le richieste di smartphone Samsung in Italia sono aumentate del 23,3%, mentre i dispositivi Apple hanno registrato un calo del 38,2% – e pare che il trend sia globale. Ipotizzo che la ragione del terremoto di settore, al netto degli intrallazzi fra produttori e provider, sia chiarissima: i Samsung costano meno e funzionano esattamente come gli Apple; i consumatori, grazie alla crisi, sono meno narcotizzati dalle “tendenze” e pertanto meno disposti a spendere quattrini inutilmente. Molto semplice, in fondo, e anche parecchio sano. Una concorrenza basata sulla qualità e l’utilità del prodotto e non sul rincoglionimento del cliente è sicuramente auspicabile, quanto meno nel lungo termine, in qualsiasi settore compreso il nostro.
Sono comunque sicuro che, alla prossima IBC di Amsterdam, tutti i corporate manager e gli executive marketing director si produrranno nelle loro abituali arrampicate sugli specchi per dimostrarci, numeri de fantasia alla mano, che la cosa migliore da fare è investire qualche decina di migliaia di dollari nell’ ultimo aggiornamento dell’ennesimo sistema super HD++  4D  stereo turbo surround a sette canali.  Sarà divertentissimo, non vedo l’ora.