Giappone

sonySi parla molto della straordinaria compostezza con cui il popolo giapponese sta affrontando i giorni più terrificanti della sua storia recente. Quella gente è davvero ammirevole e sicuramente merita tutta la nostra solidarietà.

Abbiamo appreso che a seguito della catastrofe, le reti di telefoni cellulari sono andate fuori uso nel giro di qualche minuto – sia per danni alle infrastrutture, sia per sovraccarico.  C’era da aspettarselo: sperare che una rete cellulare rimanga in piedi dopo avvenimenti del genere è pura illusione. La rete Internet, specialmente nelle zone devastate, è scomparsa nello stesso momento e le famose notizie via Twitter o via Facebook, di cui si è parlato abbastanza a sproposito, venivano da Tokyo o da località comunque non del tutto distrutte. La TV trasmetteva, ma anche in questo caso dove c’era più bisogno di notizie e istruzioni non esistevano più né i televisori né l’energia elettrica.

Ancora una volta, ad aiutare chi è riuscito a scampare al terremoto e allo tsunami c’è voluta la semplice, umile e tanto “obsoleta” radio. Si vedono spesso, nei filmati che passano in queste ore su tutte le TV del mondo, persone con l’orecchio incollato alla radiolina e intorno altra gente in circolo, attenta, riunita attorno alla voce che rappresenta la speranza e forse la salvezza.

Nei prossimi giorni, sempre che non succeda di peggio, in Giappone si dovrà vivere al ritmo dei black-out pianificati nella fornitura dell’energia elettrica. Tutti sono inoltre invitati a consumare il minimo di energia possibile, e c’è da essere certi che lo faranno in maniera rigorosa. Anche lasciando spenti televisori al plasma, 3D, HD e WideScreen per ascoltare le informazioni attraverso il meno vorace apparecchio radio.

L’ industria giapponese, che si considera e viene vissuta come patrimonio della comunità e non si tira indietro quando c’è da dare una mano, sta facendo la sua parte. La  Sony per esempio ha già stanziato 300 milioni di Yen da destinare ai soccorsi e distribuito 30.000 apparecchi radio. Piccole, efficienti, semplici radio a transistor, di quelle che con tre batterie da un volt e mezzo vanno avanti per giorni e funzionano anche quando intorno tutto è buio, quando nelle metropoli si accendono le candele, quando una voce può salvare dalla disperazione chi è solo o costretto nei centri di accoglienza.

Non è poco. Quello di Sony è un gesto che dimostra intelligenza, sensibilità e – diciamolo – per una volta attenzione alla persona anziché al consumatore. Ne sono lieto; per l’ insostituibile radio, che una volta di più dimostra l’ imbecillità e l’ incoscienza di chi smantella emittenti, e per la Sony che dimostra di sapere quali sono le cose importanti quando il business passa in secondo piano.

sony

Libia

ly-map Stanno succedendo cose importanti di questi tempi, in Libia. Le notizie, come sempre in questi casi, sono frammentarie, contradditorie e contraddette da un’ora all’altra, catastrofiche o rassicuranti – insomma, c’è confusione ed è anche normale che sia così.

L’ informazione italiana in questa occasione  si distingue, a mio modo di vedere, per una certa qual passività. Televisioni e radio riprendono agenzie, citano Twitter e Facebook, “voci” raccolte qua e là, telefonate di turisti, comunicati più o meno ufficiali. Cose quasi sempre di riporto. Del resto, questo passa il convento.

Mi sembra che, a forza di interattività, largabanda, newmidia e digitalstereo, ci si sia un po’ dimenticati dell’acqua calda. In questo caso della radio: la radio-radio, quella che quando è il caso si riceve anche fuori dal bacino di utenza. Chissà perché. Eppure, da Marconi in poi, chiunque abbia organizzato una rivoluzione, una sommossa, un colpo di stato o una sollevazione qualsiasi si è sempre posto come obiettivo primario l’occupazione delle stazioni radio e TV, prima ancora del palazzo del governo da abbattere. E non mi sembra il caso di spiegare perché né tantomeno di insinuare che l’operazione, disponendo di tempo e soldi, si può anche realizzare senza sparare un colpo: sono altre storie.

In Libia, comunque, le forze anti-Gheddafi dispongono già di alcune stazioni della rete nazionale  dalle quali hanno cacciato, speriamo solo a calci e non a colpi di Kalashnikov, i dirigenti per fare informazione alternativa. Si tratta di emittenti in onda media. Ricordate le onde medie? Quelle che si ricevono con una radiolina da due euro e coprono interi paesi, isole incluse? Quelle che in Italia sono state quasi tutte spente? Ecco, quelle.

In onde medie la nuova informazione si chiama Libya Al-Hurra (Libia Libera) e viaggia in AM fino ai più sperduti accampamenti di beduini. Anche più in là, visto che con una semplice stazione radioamatoriale la si riceve, seppur con qualche interferenza, anche nel Nord Italia. In Sicilia sicuramente  si sente anche con l’autoradio o con una radiosveglia.


Non conosco l’arabo e non ho idea di che diavolo vadano dicendo. Ma, volendo, potrei ingaggiare part-time Samir, il figlio del fornaio egiziano di fronte a casa, che sarebbe felice di stare lì a sentire, tradurre, riassumere. E avrei news fresche, sicuramente interessanti, terribilmente up-to-date.

L’idea è così semplice da sfiorare e forse superare il limite della banalità.  Ma, che io sappia, le nostre millanta emittenti radio continuano a trasmettere musicaccia e informare leggendo le agenzie. Male, molto male; perché anche in questo paese ultimamente sta ritornando voglia di informazione genuina, diversa, alternativa, interessante. Forse anche emozionante, a volte.  Qualche imprenditore del broadcast intende rendersene conto, o aspettiamo come sempre i cinesi?